mercoledì 2 novembre 2011

Classifica di Transparency sulla corruzione aziendale, Italia la peggiore d’Europa

E' uscito il rapporto di Trasparency International sulla propensione delle imprese a pagare mazzette. E nella classifica dei paesi più corruttori, l’Italia occupa il quindicesimo posto. Vale a dire, la peggiore d’Europa.

Nella classifica dei Paesi più corruttori, cioè quelli dove le aziende sono più disponibili a pagare mazzette, l’Italia sta al quindicesimo posto. Vale a dire, la peggiore d’Europa, e con lo stesso punteggio di Hong Kong, Malesia e Sudafrica. E’ il risultato della ricerca sulla “predisposizione alla corruzione”, cioè il “Bribe Payers Index”, pubblicato da Transparency International, una delle più autorevoli organizzazioni internazionali impegnate sul tema.
Transparency ha preso in considerazione le 28 economie più importanti del mondo e ha chiesto a oltre tremila manager internazionali il loro giudizio sul comportamento delle imprese di ciascun Paese quando fanno affari all’estero, proprio sul fronte della disponibilità a corrompere. I Paesi peggiori sono risultati nell’ordine Russia, Cina e Messico. Meglio dell’Italia fanno tutti i paesi europei considerati (Svizzera e Olanda a pari merito i più virtuosi), Stati Uniti, Canada, Giappone, ma anche Brasile e Corea del Sud. A livello globale, secondo Transparency, il settore più “sporco” è quello degli appalti e delle costruzioni, seguito dai servizi pubblici, poi l’immobiliare e il petrolio-gas. (Qui il rapporto integrale e le classifiche, in lingua inglese).

I soldi della corruzione possono essere recuperati per fronteggiare la crisi economica. Ne è convinta Maria Teresa Brassiolo, presidente di Transparency Italia, che a commento dei dati rivolge un appello a Silvio Berlusconi: “Il presidente del consiglio ha detto ‘Non ci sono più soldi, ci inventeremo qualcosa’. Ecco, presidente, inserisca nel Decreto sviluppo la lotta alla corruzione in modo efficace e troverà i soldi che mancano”. La corruzione, vera o percepita, influisce infatti “fino al 30% sul rating paese e sugli investimenti esteri, costituendo un impedimento alla crescita e allo sviluppo dell’economia e del lavoro”. La lotta alla corruzione, invece, “fa diminuire i costi pubblici e quindi il debito e lascia risorse all’economia virtuosa che investe e crea lavoro certo e dignitoso. Qualsiasi progetto di sviluppo non può non mettere al primo posto il contrasto alla corruzione”.
In Parlamento, ricorda ancora il presidente di Transaparency, giace da tempo il disegno di legge anticorruzione “approvato al Senato e ora scivolato in qualche cassetto della Camera dei Deputati”. Dove potrebbero essere introdotte misure più incisive, come “speciali codici di condotta per i membri del Parlamento e del Governo e protezioni efficaci per coloro che segnalano malversazioni”.

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